La gestione del dolore nello sport

Lieve è il dolore che parla. Il grande, è muto.

Seneca

Il dolore è parte naturale dello sport, in quanto, praticandolo, ci si spinge molto spesso vicino (se non oltre) ai limiti del corpo umano. Su queste pagine abbiamo già affrontato l’argomento in due articoli, il primo dedicato alla correlazione tra sport e sofferenza e il secondo alla capacità degli atleti di sopportarla.

In questo terzo articolo ci concentreremo invece sulla gestione del dolore, imparando a riconoscerlo e a capire quando soffrire “fa parte del gioco” e quando invece è consigliabile fermarsi per rivolgersi a uno specialista.

I diversi tipi di dolore

Per prima cosa dobbiamo distinguere tra diversi tipi di dolore:

  • Stanchezza. Si tratta di una sensazione spiacevole prodotta dallo sforzo, ma non abbastanza forte da essere etichettata come “dolore”. Tutti gli atleti imparano a gestire la stanchezza fisica, in quanto comune e necessaria nella maggior parte degli sport.
  • Dolore da allenamento positivo. Questo dolore si verifica spesso a seguito di allenamenti ripetuti o particolarmente intensi, o quando si riprende da un periodo di inattività, e comprende una gamma di sensazioni che vanno dall’indolenzimento lieve fino a quello acuto. Non è né una minaccia né un segno di lesione, anzi è il risultato di un impegno fisico destinato a produrre risultati positivi.
  • Dolore da allenamento negativo. Non è ancora indicativo di un infortunio, ma va oltre i segnali positivi di beneficio dell’allenamento. Un esempio può essere un dolore da affaticamento muscolare che dura per giorni e che può indicare un rischio di sovrallenamento.
  • Dolore da avvertimento negativo. É simile al precedente, con l’aggiunta dell’elemento di minaccia. Può essere sintomo di una lesione imminente, in genere si verifica di modo graduale e permette all’atleta di valutare le potenziali cause e di rispondere in modo appropriato.
  • Dolore acuto negativo. É un dolore intenso e specifico che si verifica improvvisamente, quasi sempre come risultato di una lesione. É localizzato in una specifica parte del corpo e spesso impedisce la prosecuzione dell’attività.
  • Intorpidimento. É una situazione rara, ma molto preoccupante. Si verifica quando l’atleta non sente nulla o avverte un formicolio persistente, magari collegato ad una perdita di forza in un arto o all’insorgere di una sensazione generale di debolezza. Può essere un segno di lesioni gravi (in corso o potenziali) oppure che il corpo è stato spinto oltre i limiti fisici.

Un certo grado di disagio fisico è insito nell’attività sportiva e spesso fa parte di un programma di allenamento di successo. Affinché forza e resistenza aumentino, la struttura fisiologica di un atleta deve subire un certo aumento dello stress rispetto a quello ordinario, che può produrre stanchezza e indolenzimento. Queste sensazioni dovrebbero comunque essere di breve durata e risolversi subito o poco tempo dopo la fine dell’attività sportiva.

La stanchezza dopo un buon allenamento è un segno che l’esercizio sta aumentando i limiti della fisiologia dell’atleta, ma non dovrebbe mai essere eccessiva. Una stanchezza che dura per giorni indica che il fisico è stata eccessivamente stressato e che le riserve energetiche non vengono adeguatamente reintegrate. Se la stanchezza persiste anche dopo un adeguato periodo di riposo, può essere un segno di altri problemi e si dovrebbe consultare un medico.

Muscoli, tendini, legamenti, ossa e cartilagini

I muscoli, i tendini, i legamenti, le ossa e le cartilagini, sono tutte strutture che riescono a reagire allo stress dell’esercizio fisico solo gradualmente. Se il livello di stress aumenta troppo velocemente o si accumula nel tempo in modo eccessivo, possono reagire in modo non corretto e incorrere in lesioni anche gravi.

Quando muscoli che non sono stati esercitati per lunghi periodi di tempo subiscono un repentino aumento dello stress (per esempio, nei primi giorni di allenamento dopo la pausa estiva), reagiscono infiammandosi a livello superficiale e generando un indolenzimento che inizia in genere entro poche ore, ma raggiunge un picco dopo uno o due giorni. Un po’ di indolenzimento o di fastidio significa che il muscolo è stato stressato, ma non è necessariamente indicativo di un problema. Se però il muscolo viene sottoposto ad uno sforzo violento o troppo prolungato, il dolore può aumentare progressivamente fino a livelli molto alti. In casi gravi, il muscolo può essere danneggiato al punto di sviluppare danni rilevanti.

Le tendiniti sono frequenti negli atleti che fanno molti salti o attività che prevedono una ripetizione continua dello stesso gesto (come per esempio il tennis). Il dolore può peggiorare progressivamente e continuare anche dopo l’attività sportiva, facendosi sentire anche nelle attività quotidiane. Nei casi più gravi un tendine può gonfiarsi o addirittura rompersi, rendendo necessaria un’operazione chirurgica per ridurre il danno. La stessa cosa può accadere per i legamenti, che sono simili ai tendini come struttura (entrambi sono formati da fibre di collagene di tipo I) ma mentre i primi collegano tra loro ossa diverse o parti dello stesso osso, i secondi collegano i muscoli alle ossa o ad altre strutture di inserzione.

Nonostante si possa spesso pensare il contrario, l’osso non è un tessuto statico ma si modifica e si ripara continuamente in un processo denominato “rimodellamento”. Quando le ossa vedono un aumento dello stress, rispondono generando cellule che rafforzano le aree più coinvolte. Tuttavia, se l’area dell’osso subisce un aumento dello stress troppo rapido o troppo prolungato, l’osso comincia a cedere. Con il peggiorare della situazione, può svilupparsi una frattura da stress.

Anche la cartilagine ha bisogno di stress applicato in modo molto graduale. La cartilagine è il tessuto che permette alle ossa di scivolare e di muoversi dolcemente l’una sull’altra. Man mano che una persona matura, la cartilagine tende a logorarsi e diventa progressivamente più ruvida. Se la cartilagine subisce un livello eccessivo di stress può causare dolore e generare un versamento di liquido nell’articolazione. Il gonfiore di un’articolazione è un segno preoccupante che significa che la cartilagine è irritata e può causare problemi funzionali.

Come si può trattare il dolore?

Per trattare il dolore legato all’attività sportiva, esistono diverse possibilità:

  • riposare o diminuire l’attività che sta causando il problema;
  • raffreddare l’area interessata;
  • sottoporsi a terapie adeguate;
  • prendere in considerazione l’utilizzo di farmaci.

Il trattamento migliore per qualsiasi tipo di dolore legato all’esercizio fisico consiste nel ridurre o interrompere l’attività. Nessun farmaco o trattamento funziona bene come il riposo. Questo è però più semplice per gli atleti occasionali che per quelli agonisti. Una cosa utile per evitare di perdere una condizione atletica magari raggiunta con grande fatica, è quella di riposare la zona infortunata continuando ad allenare le altre parti “sane” del corpo. Ad esempio, se un ginocchio fa male è possibile continuare a lavorare con gli arti superiori, o fare esercizi per gli arti inferiori che non causino dolore o aggravino il problema (es. nuoto).

Un secondo metodo non invasivo per trattare una zona dolorante è il ghiaccio. Il ghiaccio è il migliore amico degli sportivi e può essere usato dopo ogni attività con impacchi o massaggi della durata di circa 20 minuti (non di più, altrimenti il troppo freddo può produrre effetti infiammatori anziché mitigarli).

La terza strada sono le cosiddette “terapie fisiche”, così definite perchè utilizzano a scopo curativo l’energia fisica prodotta da apposite apparecchiature. Rientrano in questa categoria il laser, la tecar, la magnato terapia, e gli ultrasuoni. Vanno ovviamente eseguite presso centri specializzati e dietro indicazione di un medico o un fisiatra, che può valutare la terapia migliore per il problema specifico.

Il quarto modo per trattare i dolori è con gli antidolorifici o gli antinfiammatori non steroidei (i cosiddetti FANS). Questi farmaci includono l’acido acetilsalicilico (l’aspirina), l’ibuprofene o il ketoprofene e sono efficaci per diminuire dolori e gonfiori. Sono farmaci che andrebbero sempre assunti dietro indicazioni mediche e per periodi di tempo limitati, perché possono avere controindicazioni anche importanti come ulcere gastriche o problemi renali. In ogni caso, se questi farmaci non migliorano sostanzialmente il dolore nell’arco di qualche giorno è necessario un consulto specialistico.

Il dolore cronico

In presenza di un dolore cronico, ossia persistente nel medio-lungo periodo, il corpo umano mette in pratica una serie di cambiamenti adattivi nel tentativo di proteggerci dalla causa del problema. Questo accade sia in modo semi-inconscio (quando per esempio tendiamo a caricare più peso sull’altra gamba per scaricare un ginocchio o una caviglia dolorante, con il risultato di camminare in modo disallineato) o totalmente inconscio (di fronte a un mal di schiena cronico, la conformazione della colonna vertebrale si modifica progressivamente nel tentativo di proteggere l’area del dolore).

Il problema è che questo tipo di adattamenti della struttura muscolo-scheletrica sono difficilmente reversibili e permangono anche quando il rischio di ulteriori lesioni è passato e dopo che il muscolo, l’osso o il tendine è essenzialmente guarito.

Il dolore non dovrebbe mai durare a lungo dopo l’esercizio fisico. Un dolore che non scompare con il riposo, che richiede quantità crescenti di antidolorifici o che comincia a incidere sulle prestazioni sportive non è normale, men che meno se inizia a influenzare anche le ordinarie attività al di fuori dello sport, come camminare o dormire. Un dolore costante o che aumenta nel tempo è un segnale del nostro corpo a cui va prestata particolare attenzione. 

In linea generale, qualsiasi dolore che sia presente da più di qualche giorno o che continui a tornare periodicamente va controllato da un professionista, che non solo può valutare i danni ma può anche suggerire la strada migliore per risolvere il problema prima che i cambiamenti disadattivi del corpo diventino radicati.

Le lesioni più gravi

Non è sempre facile capire se una lesione dovuta a un incidente o a un trauma è più o meno importante, ma ci sono sintomi che possono indicarlo in maniera abbastanza chiara, come un dolore molto forte, una deformità nel punto della lesione (es. un dito che va fuori asse), un gonfiore immediato e marcato, una perdita di funzione della parte lesa, un formicolio o intorpidimento di un arto oppure l’incapacità di muovere correttamente l’articolazione interessata. 

Le aree ferite che col tempo diventano nere e blu indicano che i vasi sanguigni sono stati rotti e che c’è la possibilità di una lesione alle ossa, ai legamenti, ai tendini o alla cartilagine. Nella maggior parte dei casi in cui un’articolazione diventa gonfia, dolorosa e incapace di muoversi, è estremamente consigliato sottoporsi a un appropriato esame diagnostico per stabilire se si è in presenza o meno di una lesione grave.

Conclusioni

Fornire un ambiente adeguato agli atleti per gestire e superare il dolore non è sempre facile nel mondo dello sport, ma è estremamente importante. Allenatori, dirigenti o compagni di squadra possono fare pressione sugli atleti per far sì che questi ignorino i segnali di pericolo emessi dal loro corpo per poter continuare a gareggiare. Allo stesso modo, nessun atleta (in particolare se di alto livello) può pensare di vivere una carriera senza dover sopportare un certo grado di dolore nel corso dell’attività. È quindi fondamentale trovare il giusto equilibrio e costruire una consapevolezza di quali segnali si possono ignorare e a quali invece si deve prestare particolare attenzione.

Il dolore si verifica sempre per un motivo. In caso di dubbi sulla gravità o meno di una lesione, bisogna sempre affidarsi al giudizio di uno specialista.

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