Sport e superstizione. Un binomio utile o dannoso?
“Essere superstiziosi è da ignoranti, ma non esserlo porta male.”
Eduardo De Filippo
Con il termine superstizione il vocabolario definisce un insieme di credenze o pratiche rituali dettate da ignoranza, di convinzioni sorpassate o di atteggiamenti irrazionali. Cicerone, nella sua opera De natura deorum (La natura degli dei), definiva superstiziosi coloro che pregavano insistentemente le divinità affinché i loro figli sopravvivessero, che fossero quindi superstiti (sani e salvi). Nel linguaggio comune, le superstizioni sono comportamenti insoliti, ripetitivi e rigidi che chi mette in pratica ritiene abbiano un effetto positivo (o negativo), mentre in realtà non esiste alcun nesso causale tra tali comportamenti e l’evento a cui vengono collegati.
Burrhus Skinner (1904-1990), psicologo statunitense dell’università di Harvard, è stato uno dei principali rappresentanti della teoria del comportamentismo. In uno dei suoi esperimenti più famosi, Skinner osservò il comportamento di alcuni piccioni in seguito alla somministrazione di cibo a intervalli irregolari, rilevando che, dopo qualche tempo, i piccioni continuavano a fare ciò che stavano facendo nel momento in cui il cibo veniva versato nella loro vaschetta. Ad esempio, un piccione che aveva appena girato la testa verso destra continuava a girare la testa e a controllare se la vaschetta venisse riempita di cibo. I due eventi erano difficili da collegare, perché il cibo veniva somministrato a intervalli irregolari. Ma il piccione credeva comunque che, se avesse ripetuto l’azione di girare la testa, il cibo sarebbe arrivato di nuovo, comportandosi come se ci fosse una relazione causale. Skinner suggerì che l’arbitraria costruzione di una relazione causale tra comportamento e conseguenza costituisca il meccanismo alla base della superstizione umana.
Nello sport, la superstizione può essere una determinata azione che un atleta svolge con la convinzione che tale atto abbia un potere specifico nell’influenzare le proprie prestazioni. Quasi sempre, si tratta di comportamenti che vengono scelti in seguito a momenti particolari. Quando uno sportivo ha prestazioni particolarmente buone, può cercare di stabilire un rapporto di causa-effetto tra due eventi. Lo sportivo guarderà indietro e noterà qualcosa di insolito: un cibo che ha mangiato, un indumento che ha indossato, una canzone che ha ascoltato. In caso di una grande prestazione, lo sportivo attribuisce il suo successo, o quantomeno una parte di esso, a queste insolite circostanze e proverà quindi a ricrearle prima di ogni competizione.
In tutti gli sport e a tutti i livelli, la superstizione è una pratica diffusa e molto comune. Migliaia di sportivi d’élite ammettono qualche genere di scaramanzia a cui aderiscono (o hanno aderito) con costanza. Quando era al Napoli, Maradona non iniziava mai una partita senza dare un bacio in fronte al suo massaggiatore. Cristiano Ronaldo oltrepassa la linea di bordo campo con il piede destro ogni volta che esce dagli spogliatoi. Michael Jordan indossava sempre i suoi vecchi pantaloncini della University of North Carolina sotto la divisa ufficiale della squadra. Ma forse, il primato dello sportivo più scaramantico di tutti spetta al tennista spagnolo Rafael Nadal. A ogni partita, Nadal:
- fa una doccia gelata 45 minuti prima dell’orario di inizio
- indossa entrambi i calzini alla stessa altezza
- porta una racchetta in campo e cinque racchette nella borsa
- si assicura che il suo avversario attraversi la rete per primo durante un cambio campo
- si sistema i capelli dietro l’orecchio e giocherella con pantaloncini e biancheria intima prima di ogni servizio
- sorseggia prima una bevanda energetica e poi dell’acqua, sempre nello stesso ordine
- si deterge con asciugamano dopo ogni singolo punto
- non si alza mai dalla sedia prima dell’avversario
- mette le sue bottiglie sempre nella stessa esatta posizione, con le etichette rivolta verso il campo
La cosa buffa è che le superstizioni non riguardano soltanto gli atleti. Molti appassionati di sport indossano magliette, sciarpe o cappelli portafortuna della squadra, come segno di supporto quando vanno allo stadio o guardano le partite in tv. Per alcuni fan, in qualche modo questo si evolve in un rituale superstizioso in cui la persona crede che “se non indosso il la mia maglietta preferito, la mia squadra perderà“, anche se la persona non ha oggettivamente alcun modo di influire su un qualsiasi aspetto dell’evento. Ma questa è tutta un’altra storia.
Tralasciando gli aspetti legati ad una cultura di tipo popolare, il vero valore della superstizione è l’incremento di fiducia che deriva dall’eseguire un certo tipo di rito propiziatorio. Se uno sportivo crede che compiere un’azione o un comportamento specifici lo renderà più performante, a conti fatti è molto probabile che sarà più efficace sul campo di gara.
Per questo motivo, un certo grado di superstizione non è per forza da considerarsi una cosa negativa. Il dott. Paul van Lange, professore di psicologia all’Università di Amsterdam, è coautore di uno studio intitolato ‘I benefici psicologici dei rituali superstiziosi nello sport ad alto livello’, pubblicato sul Journal of Applied Social Psychology nel 2006. “Questi riti funzionano come una sorta di placebo psicologico – afferma van Lange. – Aiutano le persone a far fronte ai risultati incerti del loro futuro, soprattutto se questi risultati sono importanti, generando un vantaggio in termini prestazionali.“
Quand’è che invece le superstizioni iniziano a essere pericolose e a danneggiare il gioco e l’atteggiamento mentale? Semplice: quando l’atleta ne diventa schiavo e finisce per convincersi di non potersi esprimere bene senza le calze, i pantaloncini o il cappellino fortunato. In questi casi la superstizione diventa una pericolosa zavorra, perché sposta il senso di controllo al di fuori della portata dell’atleta. Se la maggior parte delle superstizioni sono innocue e possono essere perfino divertenti, per alcuni possono trasformarsi in un’illusione o, nei casi più gravi, in un’ossessione.
Nel profondo, gli atleti in genere comprendono che determinate azioni non influiscono sul risultato di una partita. Ma una volta che l’idea che queste azioni possano influenzare la performance è stata messa nella loro testa, possono scegliere di eseguirle comunque perché c’è poco svantaggio. “Spesso gli atleti sanno che i rituali superstiziosi non sono razionali, ma poiché ad alto livello le differenze sono così piccole pensano di non potersi permettere il rischio di abbandonare tali comportamenti – afferma la dott.ssa Michaéla Schippers, docente di Leadership e Management presso l’Università di Rotterdam e co-autrice con van Lange dell’articolo sui rituali sportivi. – Nella mia ricerca, ho scoperto che questi rituali hanno una funzione di regolazione della tensione e possono quindi essere considerati comportamenti positivi“.
Esistono diversi tipi di approcci alla superstizione. Il mio preferito è quello del kicker Adam Vinatieri, probabilmente il miglior interprete nel suo ruolo di tutta la storia della National Football League (i suoi soprannomi erano Mr. Decisivo, L’Uomo di Ghiaccio e Automatic Adam, tanto per dare un’idea).
“Io sono superstizioso sulla superstizione. Se dopo una partita giocata particolarmente bene mi accorgo di aver indossato un particolare paio di calzini, mi assicuro di buttarli via una volta tornato a casa. In questo modo, non potendo indossarli più, evito di creare un ancoraggio tra la mia prestazione e un oggetto a cui potrei, anche inconsciamente, associare un’idea di portafortuna. Non voglio permettere a me stesso di sentire il bisogno di affidarmi ad una superstizione, perché la considero una forma di debolezza mentale che ti promette un illusorio sostegno, mentre in realtà conduce soltanto all’insicurezza personale.“
Adam Vinatieri
Alla fine dei conti, le superstizioni sono credenze irrazionali e l’atto compiuto non ha alcun tipo di effetto sugli eventi, ma tali atti vengono interiorizzati perché il nostro cervello tenta di stabilire un ancoraggio con qualunque azione preceda il successo. Finché questi comportamenti servono da valvola di sfogo della tensione, possono fornire un beneficio psicologico e sono quindi accettabili. Se però si finisce per diventarne dipendenti, diventano un aspetto negativo da non sottovalutare.
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