Genitori, allenatori e specializzazione precoce. I pericoli dell’agonismo nello sport giovanile (seconda parte)
“Lo sport ha il potere di cambiare il mondo, perché parla ai giovani in una lingua che comprendono.”
Nelson Mandela
Nella prima parte di questo articolo abbiamo visto che gli effetti positivi che lo sport ha sui giovani possono essere rovinati dalla crescente esasperazione dell’agonismo a discapito del divertimento e da programmi di allenamento che non soddisfano le esigenze dei bambini.
Ci eravamo lasciati con la promessa di analizzare tre fattori che possono portare i giovani ad allontanarsi dal mondo dello sport (genitori, allenatori, specializzazione precoce), con l’obiettivo di riflettere sul nostro ruolo nell’educazione sportiva delle nuove generazioni.
Genitori
“Io ai genitori la partita gliela farei vedere con il cannocchiale.”
Bube Guerzoni
Solo una minima percentuale degli atleti che intraprendono un percorso sportivo in età scolare riuscirà ad affermarsi da grande come professionista. Questo però non impedisce a circa il 40-50 per cento dei genitori di credere che il proprio figlio avrà la possibilità di arrivare a competere a livello internazionale.
I genitori spesso percepiscono male il talento dei loro figli, tendendo a sovrastimarlo con conseguenze potenzialmente pericolose. Alcune famiglie sacrificano addirittura le vacanze, i risparmi e il proprio equilibrio di vita per sostenere le attività sportive dei loro giovani atleti, ritenendo che l’eccellenza futura nello sport ripagherà le loro spese con gli interessi. La realtà è che non tutti hanno le capacità (o il desiderio) di giocare in NBA o in Premier League, ma questo molti genitori non sembrano accettarlo.
Stabilendo obiettivi irrealistici e costringendo un giovane atleta a praticare sport al di là delle sue capacità e del suo interesse, un genitore può contribuire a generare un’esperienza sportiva negativa proprio nella fase più importante dello sviluppo del figlio. Un bambino che non è in grado di svolgere le prestazioni attese dai genitori può così perdere la fiducia in sè stesso o cercare vie alternative per il divertimento.
Il Dottor Dan Saferstein, psicologo dello sport e autore del libro Win or Lose: A Guide to Sports Parenting, afferma: “Se si abbina un ragazzo di talento con un genitore ambizioso, la combinazione può anche funzionare: il bambino soddisfa le aspettative del genitore e può condividerne parte della spinta emotiva. Il problema però, che si verifica nella maggior parte dei casi, è quando il bambino si rivela non essere abbastanza dotato. Prima o poi, quel bambino si sentirà addosso il peso di aver fallito nel realizzare le aspettative del genitore”.
C’è un grande fascino narcisistico nelle competizioni sportive dei figli. I genitori che non hanno le capacità di far fronte alle potenti emozioni scatenate nel loro ego guardando i loro figli gareggiare finiscono per andare fuori controllo, criticando eccessivamente i figli in caso di una cattiva prestazione o, al contrario, proteggendoli con ferocia da allenatori, arbitri e avversari. Una volta erano i bambini a competere contro i bambini. Ora, il più delle volte, sono gli adulti a competere contro altri adulti attraverso i loro figli.
John O’Sullivan, un ex allenatore e calciatore professionista americano, definisce questo fenomeno come “adultificazione” dello sport giovanile. Sullivan è il fondatore del progetto Changing the Game, un’organizzazione dedicata all’educazione dei genitori e che ha l’obiettivo di rendere lo sport un’esperienza gratificante per i bambini.
“La cosa più potente che puoi dire a tuo figlio è: mi piace guardarti giocare – afferma Sullivan – Un bambino ha bisogno dei genitori per sostenere il suo coraggio di mettersi in gioco. Non pensiamo mai a quanto questo possa essere spaventoso per un bambino di 7 o 8 anni mettersi in gioco con i suoi coetanei. Se siete genitori e avete fatto sport da piccoli, ripensate cosa vi piaceva quando eravate al loro posto. Se il ricordo dello sport è associato soprattutto al divertimento e ai sorrisi di mamma e papà, ci sono buone probabilità che sia così anche per i vostri figli.”
Allenatori
“Un buon allenatore farà vedere ai suoi giocatori quello che possono essere piuttosto che quello che sono.”
Ara Raoul Parseghian
Tutti gli allenatori di sport giovanile a un certo punto si trovano a dover affrontare un dilemma: cosa dovrebbe avere la priorità, promuovere il talento o incoraggiare la partecipazione? A che punto si può lasciare che il divertimento e l’impegno passino in secondo piano rispetto alla competitività?
L’eccesso di agonismo è problematico per la salute mentale dei bambini. Un po’ di competizione va bene per tenerli concentrati, ma troppa enfasi sulle prestazioni e la vittoria rischia di sottoporli a una pressione eccessiva. Gli allenatori dovrebbero preoccuparsi di coinvolgerli, farli divertire, sviluppare la consapevolezza corporea e costruire la loro fiducia.
C’è un equilibrio, però. Quando i bambini diventano adolescenti è importante che comincino a sperimentare la vera competizione, perché possano imparare ad affrontare tanto la vittoria quanto la sconfitta. Man mano che i ragazzi crescono hanno bisogno di sviluppare una spinta all’eccellenza, anche se non bisognerebbe mai, mai perdere di vista lo sviluppo personale degli atleti a scapito della vittoria.
Un altro degli errori più comuni nello sport giovanile è che molti allenatori confondono la maturità con il talento. Solo perché un giovane atleta è più forte dei compagni di squadra non significa necessariamente che abbia più talento.
In primis per una questione di età. Se parliamo di bambini e bambine, anche solo sei mesi di differenza possono comportare importanti differenze nello sviluppo fisico. Inoltre, ci possono essere atleti che hanno uno sviluppo fisico tardivo, che quindi crescono più avanti con l’età rispetto ai coetanei. Ma se questi “ritardatari” vengono scartati o messi in panchina per far spazio a quelli più pronti fisicamente, finiranno per essere tagliati fuori prima ancorati potersi giocarsi appieno le proprie carte.
Una componente chiave per raggiungere il successo a lungo termine è invece lo sviluppo dell’amore per lo sport, che fornisce la benzina per sostenere per le infinite ore di pratica, istruzione e competizione che sono necessarie per diventare un atleta d’élite. La motivazione mettersi in gioco e a sopportare gli alti e bassi è molto più indicativa di un futuro promettente che non l’abilità o i risultati sportivi ottenuti in giovane età, e questo gli allenatori dovrebbero sempre tenerlo a mente.
Specializzazione precoce
“I vasti orizzonti generano le idee complesse, i piccoli orizzonti le idee ristrette”
Victor Hugo
Negli ultimi due decenni si è assistito a un notevole aumento della specializzazione precoce. Sono sempre più numerosi i giovani atleti che scelgono un unico sport da praticare tutto l’anno, con pause e riposo poco frequenti, partendo dal falso presupposto che questo sia l’unico modo per avere successo una volta che saranno grandi.
Al contrario, numerosi studi scientifici dimostrano che, con l’eccezione di alcuni sport come la ginnastica e il pattinaggio artistico, la maggior parte dei giovani atleti trae vantaggio dalla pratica di più sport. Nello specifico, hanno meno probabilità di soffrire di lesioni da logoramento, meno probabilità di abbandonare la pratica e più probabilità di sviluppare un migliore atletismo a 360°.
Di conseguenza, l’American Academy of Pediatrics non raccomanda la specializzazione in un unico sport prima dei 12-13 anni e incoraggia almeno uno/due giorni di riposo a settimana, due mesi di recupero all’anno e la partecipazione a una sola squadra a stagione.
La pressione verso una specializzazione precoce è generata indiscriminatamente da genitori, allenatori e società, tutti tesi alla spasmodica ricerca dei campioni del futuro. Purtroppo, tentare di identificare i prossimi Ronaldo, Federer o Jordan è molto difficile e irrealistico (oltre che pericoloso), dato l’elevato grado di cambiamento dei tratti fisici, psicologici, emotivi e cognitivi degli atleti dall’infanzia all’età adulta.
Conclusioni
Tanti ragazzi tornano a casa da scuola, fanno i compiti, si attaccano a pc/telefono/videogiochi e non fanno abbastanza attività fisica, il che porterà ad un aumento dei problemi di salute con l’avanzare dell’età. Dovremmo quindi fare tutto il possibile per incoraggiarli a continuare a fare sport, piuttosto che spingerli ad abbandonarlo.
Cambiare il futuro dello sport giovanile richiede uno sforzo di collaborazione tra genitori, allenatori, insegnanti, professionisti della salute, leader della comunità e politici. Come società, dobbiamo creare un ambiente positivo in cui il maggior numero possibile di bambini possa prosperare e sfruttare i vantaggi che derivano dalla loro partecipazione allo sport. Per fare questo, gli sport giovanili devono sottolineare il divertimento e massimizzare lo sviluppo fisico, psicologico e sociale dei partecipanti, ben prima di concentrarsi sul raggiungimento della vittoria.
L’affidabilità, il rispetto, la responsabilità, la correttezza, l’equità, la sportività sono pilastri educativi che possono essere modellati da tutti gli adulti che interagiscono con i bambini. Ma se vogliamo migliorare i programmi sportivi che offriamo alle nuove generazioni dobbiamo comprendere le forti pressioni psicologiche che potremmo esercitare, anche inconsapevolmente, sui giovani atleti.
Fino a quando non riconosceremo questo fatto, non saremo in grado di organizzare programmi sportivi che soddisfino al meglio le esigenze dei bambini
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