“Yes, we can”. Quando credere è potere
“Se pensi di essere sconfitto, lo sei. Se pensi di non osare, non osi.
Se ti piace vincere, ma pensi di non poter vincere, è certo che non vincerai.”Bruce Lee
Per raggiungere un qualsiasi risultato bisogna, per prima cosa, credere di poterlo fare. Questa non è una frase retorica, ma la pura e semplice realtà. Nessuna persona sana di mente sprecherebbe mai nemmeno un minuto della propria vita per tentare un’impresa che sa di essere impossibile. La sensazione di possibilità, reale o presunta che sia, è quindi il punto di partenza fondamentale di qualunque traguardo sportivo. Tale convinzione è generata da tre componenti, ciascuna strettamente interconnessa con le altre.
La prima è la conoscenza: per capire il reale grado di difficoltà di un obiettivo è necessario avere un certo grado di consapevolezza della materia. Se non ho mai nemmeno indossato maschera e pinne o provato a trattenere il respiro sott’acqua per più di qualche secondo, come posso capire quanto può essere difficile battere il record mondiale di apnea?
La seconda componente è la volontà. Io posso essere convinto di essere in grado di correre una maratona sotto le quattro ore, ma non è detto che lo voglia fare. Magari ritengo di averne le possibilità fisiche, ma non che la fatica necessaria per allenarmi sia giustificata dalla soddisfazione che ne trarrei raggiungendo l’obiettivo prefissato. Ogni impresa sportiva, piccola o grande che sia, presuppone una scelta da parte dell’atleta, che deve essere disposto a compiere il lavoro e i sacrifici necessari.
La terza è la fede. Nel percorso che separa l’idea dal risultato, si incontrano sempre degli ostacoli. Per superarli bisogna credere che, qualunque sia la difficoltà della situazione, esiste sempre la possibilità di trovare un punto dal quale ripartire, scacciando vittimismo e negatività. Solo così è possibile arrivare fino in fondo e vincere la sfida con le avversità.
Nel libro quinto dell’Eneide di Virgilio, Enea indice dei giochi in commemorazione del padre Anchise. Tra le tante competizioni, c’è la regata con le barche a remi e tra queste ce n’è una che procede più decisa delle altre. Ce la faranno, si chiede Virgilio, i suoi energici rematori a battere tutti gli altri? Sì, ce la faranno perché li anima l’idea del successo. In breve “Possunt, quia posse videntur”, ossia “Possono perché credono (vedono) di potere”.
La nostra mente lavora per immagini, che a loro volta influiscono sui sentimenti, sulle azioni, sui risultati. Se ci convinciamo di essere troppo sfortunati per avere successo o troppo scarsi per superare un determinato avversario, questo sarà esattamente ciò che succederà, perché plasmeremo le nostre azioni sulla base di questi preconcetti. Se invece riusciamo a immaginare noi stessi perfettamente in grado di raggiungere gli obiettivi desiderati, sarà più facile trovare la strada per realizzare quello che abbiamo in mente.
Il concetto è definibile come ‘previsualizzazione’ o visualizzazione creativa, che nello sport è applicato dagli atleti in modo più o meno cosciente. L’arciere che immagina di centrare il bersaglio, il calciatore che vede sé stesso nell’atto di piazzare all’incrocio la sua punizione, il corridore che sogna ad occhi aperti di tagliare il traguardo a braccia alzate. La fede, intesa in senso laico del termine, è indispensabile nello sport, perché non raggiungeremo mai un traguardo che non riusciamo a visualizzare come possibile.
Tra gli anni ’40 e gli anni ’50, il record di corsa sul miglio rimase imbattuto per quasi dieci anni. Nessuno riusciva a scendere sotto il muro dei quattro minuti, che era ritenuto superiore alle possibilità umane. Questo finché il mezzofondista britannico Roger Bannister non ci riuscì il 6 Maggio del 1954, fermando il cronometro a 3.59.40. Niente di strano direte voi, tutti i record nel mondo dello sport sono destinati ad essere battuti prima o poi. Vero, ma la cosa incredibile non è il fatto che Bannister sia riuscito a superare quel limite, è quello che successe dopo. Nel giro di un anno dalla data di quel record, oltre trecento atleti nel mondo stabilirono prestazioni sotto i quattro minuti e il limite sul miglio venne abbassato diverse volte. Era stato sufficiente che qualcuno dimostrasse che il limite era superabile per renderlo effettivamente tale.
Nessuno è pronto per un traguardo finché non crede davvero di poterlo raggiungere. Lo stato mentale dev’essere pervaso da fiducia e certezza, non dalla semplice speranza o dall’augurio. La fiducia è anche una delle ragioni per cui alcune squadre collezionano una serie di vittorie e per un certo periodo di tempo sembrano invincibili, andando ben sopra alle loro qualità oggettive. Come il Leicester, squadra di calcio inglese allenata dall’italiano Claudio Ranieri, che vinse il campionato 2015/2016 tra l’incredulità di tutti, soprattutto dei bookmakers britannici che ad inizio stagione li quotavano per la vittoria 5000/1.
Ranieri per primo ha ammesso che né lui né nessuno dei suoi giocatori ad inizio anno avrebbero mai potuto pensare di vincere il campionato, soprattutto considerando che pochi mesi prima la squadra si era salvata dalla retrocessione solo grazie ad una serie finale di risultati positivi. Ma quando le vittorie iniziato a susseguirsi e a Dicembre il Leicester si è trovato in vetta alla classifica, i giocatori e lo staff hanno cominciato ad avere fede. Hanno creduto che fosse possibile che una formazione partita per conquistare, nel migliore dei casi, una tranquilla salvezza, potesse superare corazzate come il Manchester City, lo United, l’Arsenal, il Tottenham, squadre con budget infinitamente superiore. E così, grazie alla conoscenza dei propri mezzi, alla volontà e alla fede, hanno raggiunto un obiettivo che tutti consideravano impossibile.
Vorrei chiudere il capitolo uscendo per un attimo dal mondo dello sport per parlare di un uomo che è entrato nella storia dalla porta principale, grazie alla sua visione e a una determinazione incrollabile. Barack Obama credeva che sarebbe riuscito a cambiare il mondo. Ma nel corso delle primarie del Partito Democratico subì una pesante battuta d’arresto alle elezioni del New Hampshire. Subito dopo la sconfitta, l’8 Gennaio 2008, Obama salì su un palco per parlare ai suoi sostenitori. Nel corso del suo discorso pronunciò per la prima volta le tre parole che avrebbero segnato la via della rinascita e il suo intero percorso come presidente americano.
“È un credo scritto nei documenti che hanno fondato questa nazione e ne hanno dichiarato il destino. Yes, we can. È stato sussurrato dagli schiavi e dagli abolizionisti, mentre ci portavano verso la libertà attraverso la più scura delle notti. Yes, we can. È stato cantato dagli immigrati che arrivavano qui da coste lontane e dai pionieri che esploravano il West. Yes, we can. È stata la chiamata dei lavoratori che si sono organizzati, delle donne che hanno ottenuto il voto, del Presidente che scelse la Luna come nuova frontiera, del Re che ci portò sulla montagna e ci indicò la terra promessa. Yes, we can, per la giustizia e l’uguaglianza. Yes, we can, per le opportunità e la prosperità. Sì, possiamo guarire questa nazione. Sì, possiamo riparare questo mondo. Yes, we can. ”
Barack Obama
Yes, we can” ossia “Sì, noi possiamo”. Ma Obama, prima di tutto, nella sua testa deve aver pensato: ”Sì, io posso”. Posso fare quello che nessuno ha mai fatto e che nessuno crede io possa fare, ossia diventare il primo presidente nero degli Stati Uniti d’America. Posso andare oltre ai pregiudizi, oltre alle probabilità sfavorevoli, oltre ai sondaggi negativi, oltre questa sconfitta. L’ambizione di Obama era forte, sostenuta non soltanto delle parole ma soprattutto dai fatti. Per questo è riuscito a raggiungere il suo obiettivo.
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