Il mito del talento e il rifiuto delle scorciatoie
“Nulla al mondo può prendere il posto della perseveranza. Non certo il talento, nulla è più comune di uomini di talento falliti.”
Calvin Coolidge.
Pochissime persone possono essere veramente considerate dei campioni in quello che fanno. Ma come fanno? Perché non tutti siamo in grado di giocare a golf come Tiger Woods, nuotare come Michael Phelps o correre come Usain Bolt? Molti pensano che questi esseri semi-mitologici siano stati dotati da Dio (o dal caso, a seconda di ciò in cui uno crede) di un talento innato che gli permette di compiere imprese impossibili per i normali esseri umani. Per cui, che senso ha tentare di emularli se la vita non mi ha riservato la stessa fortuna?
E se questo invece fosse solo un mito? E se il talento fosse una qualità sopravvalutata, che ha molto meno a che fare con il successo rispetto alla perseveranza e al duro lavoro?
Nell’antichità la parola ‘talento’ indicava una moneta (o meglio, indicava un’unità misura della massa corrispondente ad una certa quantità di metallo prezioso) che veniva utilizzata per regolare il commercio da babilonesi, greci e romani. Con il tempo, la parola è passata a indicare l’abilità, l’ingegno o l’inclinazione di una persona, ma non ha perso la connessione con il concetto di capitale.
Immaginatevi un gruzzolo, più o meno grande, che vi è stato accreditato sul conto in banca il giorno della vostra nascita. Quei soldi costituiscono un capitale di partenza: se sarete capaci di investire correttamente i vostri soldi e di lavorare duramente, il capitale crescerà e vi permetterà di togliervi molte soddisfazioni. Al contrario, se farete scelte sbagliate e non vi impegnerete a sufficienza vi ritroverete presto poveri in canna.
Nello sport è lo stesso: per diventare davvero grandi non conta soltanto la dotazione genetica. Vero, chi ne è più dotato riesce ad arrivare in vetta più velocemente degli altri. E allora? Questa non è una scusa per rinunciare a impegnarsi. Anzi, spesso chi sale troppo facilmente poi non è in grado di rimanere a quel livello, perché non ha fatto tutti i passaggi necessari per abituarsi a quando la competizione diventa sempre più dura e spietata. Il mondo è pieno di ragazzini talentuosi che si sono persi per strada non appena il livello della competizione è salito. Ancor più del talento, conta la volontà di mettersi al lavoro e trovare il modo di sfruttare al massimo ogni singola possibilità di successo.
Pensate a Cristiano Ronaldo, che secondo tutti i suoi compagni è sempre il primo ad arrivare all’allenamento e l’ultimo ad andarsene. O a Kobe Bryant, che si faceva dare dai custodi le chiavi della palestra per potersi andare ad allenare anche di notte. O a Novak Djokovic, che segue una rigidissima dieta alimentare per curare al meglio il benessere del suo fisico. Questi sono solo alcuni esempi: per ogni sportivo di successo, c’è una lunga storia di dedizione e sacrificio.
Vi prego, non credete anche voi alla leggenda dell’atleta che ha successo grazie soltanto al suo talento. La realtà è che tutti i campioni, anche quelli che riescono a far sembrare le cose facili a chi li guarda, hanno sempre dietro ogni gesto ore e ore di ripetizioni e di errori.
Con questo non voglio dire che il talento non sia importante o che qualunque persona sulla faccia della terra lavorando abbastanza duramente possa diventare il nuovo Ronaldo, Bryant o Djokovic. Nessuno diventa così grande senza talento, ma è altrettanto vero che non tutti quelli dotati di talento diventano grandi. Il talento ti porta solo fino ad un certo punto, il lavoro e la dedizione fanno il resto.
Chi è alla ricerca di una scorciatoia per raggiungere il successo vuol dire che sta cercando un modo per evitare la fatica o, ancora peggio, di barare. Non bisogna volere che i risultati arrivino troppo presto e troppo facilmente. Più importante è la ricompensa (nello sport, nel lavoro, in amore, etc.) più dura sarà la strada per raggiungerla. A tal proposito, c’è una storia di saggezza cinese che voglio condividere con voi.
Un giovane praticante di arti marziali attraversò l’intera Cina per raggiungere la palestra di un famoso maestro. Una volta giunto, il maestro gli concesse udienza: “Dimmi, cosa desideri da me?”. “La supplico con tutto il cuore di accettarmi come suo discepolo. – disse il giovane – Voglio diventare il più abile praticante di arti marziali di tutta la Cina. Sarò il suo servitore e mi addestrerò senza requie. Quanto tempo impiegherò per imparare tutto?”. “Almeno dieci anni” rispose sicuro il maestro.
“Ma dieci anni è un bel po’ di tempo! – si lamentò il giovane. – Se lavorerò il doppio di tutti gli altri tuoi discepoli, quanto mi ci vorrà?”. “In tal caso ci vorranno vent’anni” replicò il maestro.
“Ma cosa significa? – protestò il giovane – Forse non ha capito, io mi impegnerò giorno e notte con tutte le mie forze per divenire un esperto il più velocemente possibile!”.“Ah! Sì, certo. Allora ci vorranno trent’anni” chiosò il maestro.
“Ma insomma! Com’è possibile che, se dico che ci metterò più impegno, voi mi rispondete che ci vorrà sempre più tempo?” chiese il giovane ormai disperato. “È semplice: una persona con tanta fretta è uno studente scarso. Se un occhio è continuamente diretto sulla destinazione finale, resta solo l’altro occhio per cercare la Via” concluse il maestro con un lieve sorriso.
Se pensate di diventare dei grandi giocatori, in qualunque sport o disciplina, solo con il vostro talento, devo darvi una brutta notizia: non ne avrete abbastanza. Nessuno di voi, anche se non vi conosco. Per raggiungere un qualsiasi risultato di rilievo nello sport, vi servirà allenamento, allenamento e poi ancora tanto allenamento.
Ricordatevi però che fare allenamento non è sufficiente se si tratta di una pratica passiva. Potete anche stare in palestra dalla mattina alla sera, ma se lo fate senza concentrazione (se vi limitare a ‘scaldare il banco’, come si diceva a scuola) non serve a nulla. Si dice che il semplice fatto di vivere in una caverna non ti rende un geologo, proprio perché la pratica intenzionale presuppone che ci si alleni con coscienza, in particolare sulle cose che non sappiamo fare piuttosto che in quelle in cui siamo più bravi.
Allo stesso modo, le scorciatoie basate sulla menzogna conducono a soddisfazioni vuote ed effimere. Chi vince attraverso il doping deruba solo sé stesso, si priva della possibilità di godere di una vittoria che ha invece ottenuto attraverso una banale truffa. Il successo risiede nella consapevolezza di aver dato fondo alle proprie possibilità in una onesta, sincera competizione con gli avversari. Questi sono valori che non possono essere in alcun modo contraffatti o rubati. I trofei conquistati attraverso l’inganno non valgono niente, sono gusci vuoti che si rompono nel momento stesso in cui vengono afferrati.
Il vero successo, quello che riempie il cuore e l’anima e che lascia un ricordo che niente potrà mai cancellare, richiede costanza, impegno e volontà di soffrire. Senza scorciatoie.
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